Di seguito potete leggere in esclusiva il primo capitolo del libro

"Il cavaliere di Eron - L'avvento".

 

 

 

 

CAPITOLO 1

ERON

 

“Ed Egli verrà. La sua spada, bianca come l’alabastro e spietata come l’alba, brillerà al Sole di un nuovo giorno. La sua ira si abbatterà sui malvagi per difendere i deboli e gli oppressi. Un grido di libertà si alzerà in aria e un’onda di fuoco sbaraglierà i nemici del popolo. Eron sarà salvata dal suo cavaliere.”

<Questa è solo una stupida leggenda!>

<Smettila Maurice! O il maestro non continuerà!>

<Ma a che serve? Il cavaliere di Eron è solo un mito! Non verrà nessuno a salvarci!>

Un pianto rabbioso e disperato incrinava le parole di colui che le pronunciava: un bambino dagli occhi color cenere che ormai non sorridevano più da lungo tempo. Il suo volto aveva perso tutta la gioia e la spensieratezza della sua età, lasciando il posto ad una paura che attanagliava tutta l’anima.

<Non dire così! Non è vero! Il cavaliere di Eron verrà sicuramente a salvarci!> proruppe, anch’essa in lacrime, un’altra bambina della stessa età; un piccolo cespuglio di capelli biondi dal viso sporco e gli occhi verdi. <Maestro, glielo dica anche lei! Il cavaliere di Eron verrà, vero?> aggiunse con una nota di speranza la piccola.

A queste parole, il maestro fece un piccolo sorriso, chiuse il grande libro che teneva sulle ginocchia e si alzò in piedi. Un uomo anziano, dalla lunga e sottile barba bianca, faceva da maestro a questo piccolo gruppo di bambini in una stanza buia e fredda, illuminata solo dalla tenue luce di alcune candele. Il vecchio maestro aveva gli occhi buoni, azzurri come il ghiaccio, e sotto un caldo cappuccio nascondeva un ciuffo di capelli ribelli, bianchi e scompigliati. Portava una lunga veste di velluto blu rifinita con cuciture color oro. Era alto e snello e, se non fosse stato per le mani adunche e piene di calli, tutti l’avrebbero scambiato per un nobile.

<Certo, Geraldine.> disse in tono rassicurante il vecchio maestro, poggiando la propria mano sulla testa della bambina, che intanto si asciugava le lacrime <Ed Egli verrà presto! Chiamato dalle nostre preghiere e dalla nostra fede in lui. Finché Egli non comparirà, vorrà dire che ci sarà sempre una speranza.>

<Ma allora vuol dire che se dovesse comparire, per noi sarebbe la fine?!> interruppe un altro bambino dall’aspetto goffo e i capelli rossi.

<No, certo che no!> sorrise ancora il vecchio <Voglio dire che finché il cavaliere non si manifesta, sta a significare che c’è ancora la possibilità di uscire da questa situazione con le nostre sole forze. Ma quando saremo davvero in difficoltà e non potremo più difenderci in alcun modo, Egli verrà a salvarci.>

<Il cavaliere di Eron è solo una leggenda vi dico!> riprese a urlare Maurice: <E se esiste davvero, è solo un codardo! Non si fa vedere perché ha paura! Perché sa che neanche lui ha più possibilità di salvezza!>

<Non è vero! Lui ci salverà tutti!> urlò Geraldine.  

<E allora perché non è venuto a salvare mio padre?!> gridò Maurice tra lacrime avvelenate da rabbia e dolore. Tutti rimasero ammutoliti; il piccolo Maurice, in preda al suo strazio, uscì correndo dalla stanza e, così facendo, si scontrò con un uomo che lo fece cadere a terra.

Il piccolo, intontito dal colpo, scosse la testa ed alzò lo sguardo, spalancando gli occhi. Tutti gli altri bambini, vedendo chi era appena entrato nella loro stanza, si alzarono da terra e si inginocchiarono solennemente come dei piccoli cavalieri; solo il maestro rimase in piedi, chinando il capo e togliendosi il cappuccio.

<Vostra Maestà.>

L’uomo, che sembrava avere tra i cinquantacinque e i sessant’anni, indossava una veste blu dai bordi neri, con le maniche lunghe e cuciture dorate sulle spalle e ai polsi; al centro del petto vi era lo stemma del regno: uno scudo diviso a metà da una diagonale bianca; da una parte erano raffigurate quattro stelle bianche, dall’altra la testa di un leone che ruggiva, le prime su fondo blu, la seconda su fondo giallo. L’uomo indossava anche un mantello rosso mattone, stivali e cintura di cuoio, lunghi pantaloni dello stesso colore della casacca ed una sottile corona d’oro sulla testa. Era il re.

Egli, vedendo il bambino a terra con un’aria sorpresa e spaventata allo stesso tempo, gli sorrise; poi lo aiutò ad alzarsi, sollevandolo di peso. Gli spolverò le braccia e appoggiò le sue grandi mani sulle sue piccole spalle; dopodiché, guardandolo dritto negli occhi, gli disse: <Maurice, figlio di Plamme, conoscevo tuo padre e so che non avrebbe mai voluto che tu covassi tanta rabbia nel suo ricordo.>

<Ma mio signore, non è con lui che sono arrabbiato!> esclamò Maurice.

<So che non sei arrabbiato con lui> continuò il re sfiorandogli una guancia con la mano <Ma sei arrabbiato PER lui. E Plamme non avrebbe mai desiderato essere causa della tua rabbia.> Poi, ergendosi di fronte a tutti, cambiò tono ed aggiunse <Capisco ciò che senti e ti confesso che a volte anch’io provo molta rabbia verso il cavaliere di Eron.> Il re fece una piccola pausa, chiudendo gli occhi; infine riprese con un sospiro <Ma poi penso a quanto sarà bello quando lui sarà qui fra noi, alla speranza che porterà e alla gioia che ci darà. E ricomincio a credere.>

Le parole e il sorriso del re commossero tutti. Un uomo grande e grosso come lui, con il volto severo e la voce ruvida, che continuava però a credere nel domani più di loro che erano dei bambini. Finalmente un sorriso, anche se rigato da alcune lacrime, si affacciò sul volto di Maurice che, con un filo di voce, ringraziò il suo re.

<Coraggio bambini.> riprese il vecchio maestro interrompendo il silenzio <Per oggi abbiamo finito. Ci vediamo domani.> Così i piccoli lasciarono lentamente la stanza, in ordine e in silenzio, facendo sfuggire solo qualche saluto e qualche piccolo inchino.

Una volta che la stanza fu vuota, il re chiuse la porta e si avvicinò al maestro: <Ero venuto a chiederti come andavano le cose con i bambini, ma…>

<Già, la situazione è abbastanza evidente…> sospirò l’anziano.

 <Leaf, dobbiamo fare qualcosa!> disse concitatamente il re.

<Non possiamo, Vostra Maestà! Dobbiamo aver fede e aspettare.>

<Ma avevi detto di aver trovato qualcosa in uno dei tuoi libri. Deve esserci un modo per convocare il cavaliere di Eron! In fondo sei pur sempre un mago! E per giunta il mago più potente del regno!> proseguì il re.

<Mio signore, avete ragione. Ho trovato una formula che evoca il cavaliere, ma temo che convocarlo contro la sua volontà possa costarci il suo aiuto.> spiegò il mago.

<Se è davvero il nostro protettore, di certo non si rifiuterà! Dobbiamo tentare.>

<Ma Maestà, i miei poteri potrebbero non essere sufficienti! Secondo il mito, il cavaliere di Eron possiede poteri pressoché sconfinati: un’enorme forza fisica e un’energia magica illimitata! Potrei fare più danni che altro!>

<Non è possibile che la situazione peggiori ulteriormente.> disse scoraggiato il re  <Dobbiamo tentare. Nel peggiore dei casi, quanto meno non darò al mio popolo vane speranze.> aggiunse mestamente.

Un silenzio assordante calò nella stanza. Re Iron aveva ragione: la situazione era insostenibile. La città di Eron, capitale dell’omonimo regno, era assediata ormai da dieci anni, l’esercito era stato quasi completamente massacrato e il popolo viveva di stenti. I campi, che si trovavano fuori dalle mura, non potevano essere coltivati e le scorte stavano per esaurirsi. I contadini che, mossi dalla fame, osavano uscire dalle mura, venivano uccisi o resi schiavi dall’esercito nemico e gli alleati  di re Iron non riuscivano ad avvicinarsi alla città. Persino il regno di Bermax, guidato dal fratello minore di re Iron, Sigfried, che distava alcuni giorni dalla capitale, non poteva essere d’aiuto al regno di Eron, poiché tutti i confini erano sotto il controllo dell’invincibile nemico.

Il regno di Lamdas era ormai padrone di tutto il territorio di Eron, di ogni sua collina, di ogni sua pianura, di ogni suo fiume e di ogni suo filo d’erba. La bellezza di Eron, famosa in ogni dove, si stava ormai sfaldando sotto i violenti attacchi di Lamdas. Il suo re, Kales, era da sempre un nemico del popolo, ma l’esercito di re Iron ogni volta era stato in grado di difendersi. Da dieci anni, Lamdas governava il destino di Eron solo grazie alla magia. Re Kales infatti, un giorno, chissà come, era entrato in possesso di poteri mai visti prima, che neanche il potente mago di Eron, Leaf, era riuscito a contrastare. E così, i confini di Eron si facevano sempre più stretti di giorno in giorno. L’esercito di Lamdas, rafforzato dalla magia di Kales, risultava invincibile e ormai per il popolo restava una sola speranza: il mitico cavaliere di Eron.

Infatti, fin dall’alba dei tempi, a Eron vi era questa leggenda: un mitico cavaliere, proveniente da un altro mondo, con una forza sconfinata e illimitati poteri magici, sarebbe comparso ogni qualvolta il popolo di Eron ne avesse avuto bisogno. Con la sua bianca spada ed il suo nero destriero avrebbe difeso i giusti e sconfitto i malvagi. Il cavaliere di Eron avrebbe protetto il regno per sempre, a patto di rimanere sempre e solo un cavaliere; infatti Egli non sarebbe mai potuto salire sul trono, o avrebbe portato la sciagura più nera su tutto il regno. La leggenda narrava anche che il mitico cavaliere fosse già apparso in precedenza, una volta, moltissimi anni prima. Gli scritti che narravano le sue vicende erano numerosi, ma i pochi quadri che lo ritraevano e le altrettanto rare prove della sua reale esistenza erano soprattutto frutto della fantasia di alcuni sognatori. Infatti non erano mai state ritrovate vere e tangibili prove del suo passaggio su quella terra, ma la fede in lui era paragonabile a quella che si può avere in un Dio.

E così, ormai da dieci anni, il popolo aspettava la venuta del suo cavaliere; invano. Gli uomini morivano in guerra e le donne dovevano allevare i figli a pane, acqua e poco più. La fame portò le malattie, che fecero strage di vecchi e bambini. Erano ormai pochi quelli che ancora nutrivano speranze di salvezza, ma re Iron era uno di loro e non voleva rassegnarsi alla disfatta del suo regno e alla morte della sua gente.

Così, dopo aver visto la disperazione dei suoi uomini aggrapparsi anche sui loro figli, ordinò al mago di corte di evocare il cavaliere di Eron, qualsiasi cosa questo avesse comportato. Leaf non poteva ribellarsi a un ordine diretto del suo re e così il giorno seguente ebbe inizio il rito di evocazione.

Re Iron, sua moglie, la regina Kendra, e il principe Phin raggiunsero lo stregone nelle sue stanze, seguiti poco dopo dal comandante dell’esercito, sir Robert di Eron. I tre regnanti entrarono per primi nelle camere assegnate al mago e attesero che li raggiungesse anche il loro cavaliere più fidato. Sir Robert, infatti, conosceva da moltissimi anni i reali, combattendo in giovane età anche al fianco del fratello del re, quando questi abitava ancora a Eron. Il comandante era un uomo più o meno della stessa età del re, forse di poco più vecchio. Aveva i capelli corti e brizzolati e una barba un po’ ispida, ma ben curata. Quando raggiunse i sovrani, indossava, come di consueto, l’uniforme militare: la casacca grigia-bluastra con lo stemma di Eron sul petto, il mantello blu scuro e la spada in vita; nonostante non si intravedesse dalle vesti, il rumore della cotta di maglia che sir Robert portava sotto la divisa era facilmente distinguibile.

Lo stanzone del mago si trovava nel sottosuolo, nelle fondamenta del castello; erano stati tolti tutti i mobili e la stanza somigliava a una piazza d’armi. Sul pavimento era disegnato un enorme cerchio con della polvere bianca e tutto intorno vi era tracciato uno strano disegno con pietre bianche e altre polveri nere, verdi e rosse. Al centro si ergeva un enorme specchio dai bordi intarsiati d’oro.

Leaf li stava aspettando davanti a un leggio, sul quale troneggiava un grande e antico libro.

<Avete portato ciò che vi ho chiesto?> chiese solennemente il mago al suo re.

<Certo.> rispose egli altrettanto solennemente <Kendra, il pendente>

A queste parole, la regina si tolse dal collo un piccolo gioiello: un rubino rosso, incastonato in una piccola catenina d’oro. Sua Maestà porse al re il gioiello; la mano le tremava come non mai e il suo volto, sempre disteso e rassicurante, era attraversato da un’inquietudine che le attanagliava corpo e mente. I suoi bellissimi occhi azzurri erano sul punto di piangere e non poteva fare a meno di stringere tra le mani una piccola parte della gonna del suo vestito di velluto celeste per cercare di smorzare la tensione che la sconvolgeva oltre ogni previsione. Vedendola così agitata, il principe Phin le prese la mano, facendole lasciare il vestito, e gliela strinse forte. Anche lui temeva il peggio, ma non poteva farsi vedere preoccupato dalla madre, così prese tutto il coraggio accumulato nei suoi ventitré anni e le disse con voce ferma: <Andrà tutto bene.> Sua Maestà si voltò e i due si sorrisero.

Kendra accarezzò il volto di suo figlio e strinse a sua volta la mano del giovane. Questi, che aveva ereditato dalla madre l’azzurro degli occhi e il biondo dei capelli, cercava di tranquillizzare il più possibile la regina. Con la sua veste da cerimonia bianca, simile a quella del padre come modello, cercava di distrarre la madre baciandole le mani e accarezzandole i capelli; la regina, dal canto suo, rispondeva a ogni gesto del giovane quasi senza pensare.

Mentre madre e figlio si davano coraggio a vicenda, re Iron consegnò il pendente a Leaf; il mago guardò attentamente il gioiello, poi chiese al re: <Siete sicuro, Vostra Maestà?>

 <Procedi.> rispose il re senza esitazione.

Così Leaf fece un sospiro, impugnò saldamente il gioiello, lanciò uno sguardo alla regina e al principe che risposero con il capo e alzò il pendente fin sopra la sua testa verso il cerchio disegnato a terra, quasi a indicare il centro dello specchio che gli si parava di fronte. Dopodiché cominciò a leggere la lunga formula magica scritta nel libro sul leggio.

Ormai non si tornava più indietro.